Tor des Géants & Ironman: due sfide estreme, una sola grande lezione

Settembre 2025. Un mese che non dimenticheremo.

Da una parte, un viaggio di cinque giorni in alta montagna, tra salite infinite, sonno a intermittenza, paure da affrontare e paesaggi da togliere il fiato. Dall’altra, una gara di un solo giorno che racchiude tutto: nuoto, bici, corsa. Ma anche testa, cuore, stomaco e gestione al millimetro.

Io ho concluso il Tor des Géants: 350 chilometri e 26.000 metri di dislivello positivo in totale autonomia.

Daniele ha chiuso il suo Ironman di Cervia in 9 ore e 26 minuti netti.

Due gare diversissime, due corpi che chiedono cose differenti, due menti che affrontano la fatica in modo opposto. Eppure, alla fine, le lezioni imparate sono le stesse.

Ironman Cervia: precisione, margini nascosti e qualche errore (utile)

Daniele partiva con un’idea chiara: “Se chiudo sotto le 10 ore sono felice. Se faccio 9h45 è perfetto. Se scendo sotto le 9h30, sogno.”

Ha chiuso in 9h26. E nonostante questo tempo incredibile, appena sceso dal tappeto rosso si è detto: “Potevo limare ancora 5 minuti.”

E forse è vero. La zona cambio è stata più lunga del previsto, come racconta lui stesso:

“C’era una lunga camminata a piedi con la bici in mano, e in più avevo le scarpe attaccate ai pedali. Chi non le ha attaccate si fa quasi un chilometro con le scarpe da bici ai piedi. Scomodo, lento, stancante.”

Il nuoto, poi, è stato più lungo di quanto indicato. E anche la transizione bici-corsa ha richiesto tempo, tra fastidi fisici e piccole incertezze.

Ma nonostante tutto, la gara ha preso una piega positiva già dalla frazione in bici, gestita con intelligenza e ritmo costante. Con una nota dolente: la polemica sulle scie, che in gare così affollate è inevitabile.

Daniele non si è tirato indietro:

“Non ho fatto scia vera, ma il vantaggio lo senti anche stando a 6-8 metri. Il vero problema sono i treni, quelli che stanno sempre incollati, senza mai pedalare davvero. Quella roba lì rovina lo spirito della gara.”

Il Tor: 120 ore, due ginocchia dolenti e una montagna di emozioni

Il mio TOR, invece, è stato una lunga, lunghissima esperienza umana.

Nei primi giorni tutto andava bene: gambe buone, salite gestite, ritmo costante. Stavo sui 90 grammi/ora di carboidrati in salita e 60 in discesa.

Poi è arrivato il momento in cui tutto ha iniziato a rompersi. Non fuori. Dentro.

Le ginocchia hanno cominciato a farmi male. Lo stomaco si è chiuso. I gel non li reggevo più.

E lì è arrivato quel momento che ogni ultra runner conosce bene: la crisi. Ma non la crisi passeggera. Quella che ti prende a schiaffi e ti dice “ora molli”.

“Mi sono fermato. Mi sono messo a piangere. Ho chiamato Tania. Ho detto: sto facendo male alle ginocchia. Se peggiorano, mi fermo.”

Poi sono arrivate due ore decisive in una base vita: massaggio, doccia, osteopatia. Ma soprattutto, un cambio di testa.

“Da lì in poi è iniziata la mia risalita. Non ero più in guerra contro il TOR. Ero lì per viverlo.”

Ho iniziato a correre di nuovo. A sorridere. A trovare forza da piccole cose. Dal panorama. Da una carezza mentale. Dalle parole di mia figlia: “Papà, respira.”

Aspetti mentali: il vero cuore della performance

Una delle frasi più forti della puntata è questa:

“Al Tor muori mille volte, ma rinasci sempre una volta in più.”

Ed è vero. Le crisi non sono un’eccezione: sono la norma.

Il punto non è evitarle, ma sapere come affrontarle.

Nel mio caso, ogni colle diventava un momento di centratura. Mi fermavo, respiravo, ringraziavo.

“Grazie per la mia famiglia. Grazie per le gambe. Grazie per questa possibilità.”

Gratitudine vera, anche se eri in crisi nera.

E poi c’erano i mantra, i ricordi, il supporto a distanza. Un equilibrio fragile tra corpo, testa e cuore.

Nutrizione & sonno: i veri game-changer

Nel triathlon tutto si gioca su millimetri.

Nel TOR, su ore.

Daniele ha gestito bene l’alimentazione:

  • In bici: 85-95 grammi/ora
  • In corsa: 65-70 grammi/ora
  • Acqua? Tantissima. “Ho bevuto come un matto, specialmente nella maratona.”

Io invece ho cambiato approccio in corsa. Quando lo stomaco ha detto “basta”, sono passato alle crostatine e ai plumcake.

Zero gel. Ma almeno qualcosa da mandare giù, a piccoli morsi, nei tratti in salita.

Il sonno? Gestito.

Ho dormito circa 3 ore a notte nelle basi vita. E questo ha fatto tutta la differenza: nessuna allucinazione, lucidità conservata, forza mentale recuperata.

Logistica, materiali e strategia “a blocchi”

Ogni base vita era una tappa.

Dividevo il TOR in blocchi da 50 km e ad ogni base salvavo l’attività sul Garmin per “azzerare” mentalmente la distanza.

Inoltre, preparavo lo zaino ogni volta come se fosse una micro-avventura a sé.

“Dormivo, mangiavo, facevo il massaggio, mi cambiavo. Poi rimettevo lo zaino a posto, ricaricavo i dispositivi e ripartivo.”

Anche la scelta delle scarpe è stata determinante: ho usato un solo modello per 350 km (La Sportiva Prodigio), senza cambiare mai. Due vesciche leggere, zero unghie perse.

Scelta rischiosa, ma vincente.

Due gare, una sola lezione: conosci te stesso

La verità è che né io né Daniele abbiamo fatto tutto “secondo manuale”.

Io non avevo preparato il TOR con la quantità di lunghi che avrei voluto. Daniele si è allenato alla perfezione per quello che era il tempo a disposizione… ma non ha seguito una tabella rigida.

Eppure abbiamo finito.

E anche bene.

Perché alla fine quello che conta è conoscere te stesso:

  • sapere quando spingere e quando rallentare
  • quando mangiare e quando digiunare
  • quando dormire e quando resistere
  • quando la crisi è vera… e quando è solo un momento

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