Dentro i 175 km di UTMB: il racconto di Paolo Comparin di STERRATO

L’UTMB è una di quelle gare che non hanno bisogno di presentazioni. Per chi corre in montagna è il sogno, il punto di arrivo, la corsa che tutti prima o poi vogliono affrontare. Ma viverla da dentro è un’altra cosa. È un viaggio che mescola emozioni, fatica, paure e momenti di pura esaltazione.

Paolo Comparin, co-fondatore di Sterrato, quest’anno ha finalmente messo la spunta su questo obiettivo, chiudendo la regina delle ultra: 175 chilometri e quasi 10.000 metri di dislivello attorno al Monte Bianco.

Un’impresa che l’anno precedente si era interrotta al 100° km a causa di una caduta. “Mi sono trascinato per chilometri con il dolore, ma in discesa non riuscivo a correre. Ho deciso di ritirarmi, e da quel momento ho sentito la necessità di riprovarci.” 

Un sogno nato per caso

La storia inizia molto prima, nel 2017. Paolo era a Courmayeur per caso e vide la partenza della CCC. “Non avevo mai corso fino a quel giorno, ma vedere quelle persone partire per 100 o 200 km mi ha folgorato. Ho pensato: esistono davvero gare così? Forse questa è la mia occasione per unire la montagna con il desiderio di rimettermi in forma.” 

Da quel momento, un percorso di avvicinamento fatto di trekking, primi trail e poi gare sempre più lunghe. Fino all’estrazione del pettorale e alla preparazione per la regina di Chamonix.

Una preparazione lunga un anno

Dopo il ritiro del 2024, Paolo non ha perso tempo: “Dal giorno dopo ho iniziato ad allenarmi con l’obiettivo di tornare. Ho fatto la Chianti 120, la Monterosa da 80, e mi ero iscritto persino alla Jurassic Mile come piano B. In realtà speravo sempre nel pettorale, e alla fine è arrivato grazie a Rudy Project.” 

La preparazione non è stata improvvisata: lunghi, gare di avvicinamento e un percorso costruito anche con l’aiuto dell’app MyPersonalRunningCoach. “Non sono uno che segue le tabelle in modo rigido, ma i lunghi e le ripetute non li ho mai saltati. E alla fine i miglioramenti si sono visti, perché rispetto all’anno scorso ero molto più pronto.” 

La prima notte: pioggia, neve e fango

La partenza alle 18 da Chamonix è stata un tuffo nel cuore della gara. “Tre minuti prima di partire ha iniziato a diluviare. Eravamo tutti in maglietta e all’improvviso ci siamo trovati sotto un muro d’acqua. È stato un inizio devastante.” 

Quella notte è stata un inferno: pioggia incessante, freddo pungente e sentieri trasformati in fiumi. “Non ho mai visto nulla di simile: fiumi d’acqua che diventavano neve e poi ghiaccio. Un mix micidiale. Ho salvato la pelle grazie alle scarpe: pesanti, sì, ma con una presa incredibile. Ho visto tanta gente scivolare e farsi male, io invece ho sempre avuto sicurezza di dove mettere i piedi.” 

La seconda notte: allucinazioni e sonno

Se la prima notte è stata fisica, la seconda è stata mentale. “Era la prima volta che affrontavo due notti senza dormire. A un certo punto ho iniziato a vedere ristori che non esistevano: un sasso, un albero illuminato diventavano tende piene di cibo. Quando ho capito cosa stava succedendo, ho deciso di fermarmi sul sentiero a dormire due minuti.” 

Il sonno gestito così, a micro-pause, gli ha permesso di arrivare fino all’ultimo tratto con ancora energie. “All’ultimo ristoro ho fatto un power nap di 8 minuti. Quando mi sono svegliato mi sentivo rinato, e ho affrontato gli ultimi 18 chilometri come se fosse un’uscita vicino a casa.” 

Il tifo e la magia di Chamonix

Se c’è qualcosa che rende unica l’UTMB è il pubblico. “Lungo il percorso c’era gente ovunque, anche alle tre di notte sotto la pioggia. In Francia i sentieri erano pieni, e in alcuni punti come la Gorge sembrava di correre in mezzo a una tappa del Tour de France, con gente che ti urlava il nome e i fumogeni accesi.” 

Anche i ristori diventano feste di paese: “Arrivi e di fianco c’è il concerto, lo stand con la birra, la sagra con i bambini che giocano. Una cosa incredibile, che non ho mai visto in altre gare.” 

Gestione e strategia

Dal punto di vista tecnico, la gara è stata gestita con grande attenzione. “Sono stato sempre tra i 40 e i 60 grammi di carboidrati all’ora. Non volevo rischiare crisi di fame. Ho tenuto la zona 2 e raramente la 3, mai oltre. Mi interessava finirla, non distruggermi.” 

Il risultato è arrivato: 37 ore e 54 minuti, con gambe ancora capaci di correre negli ultimi chilometri. Un tempo che Paolo non si aspettava: “Pensavo solo a chiuderla, un sub 40 ore era oltre le mie aspettative. E invece è arrivato.” 

L’arrivo: più di una gara

Il traguardo a Chamonix resta una delle immagini più forti. “Arrivi la mattina, la città è piena, la gente applaude e ti acclama come se fossi il primo. Ho corso gli ultimi metri con le orecchie che scoppiavano dal casino, un’energia che ti rimane addosso per sempre.” 

Per Paolo non è stata solo una gara: “Questa è stata l’unica volta in cui ho dato priorità all’esperienza piuttosto che ai contenuti. Non volevo interrompere il momento per pensare a cosa dire o riprendere. Volevo solo viverla.” 

E adesso?

Messo il check all’UTMB, non mancano nuovi stimoli: il ritorno alla LUT con l’obiettivo di scendere sotto le 20 ore, cammini da fare in modalità fast hiking, e il sogno della PTL, la versione a squadre dell’UTMB, che mescola avventura, alpinismo e spirito di gruppo.

“Non sono attratto dal Tor, vedo troppa sofferenza negli occhi di chi lo finisce. Ma la PTL è un’altra cosa: condividere il viaggio, seguire una traccia, vivere la montagna in gruppo. Quello sì, un giorno lo farò.” 

Conclusione

Il racconto di Paolo Comparin ci ricorda una cosa fondamentale: le ultra non sono solo cronometro e classifica. Sono viaggi dentro sé stessi, momenti in cui la fatica incontra la scoperta, e in cui ogni passo diventa esperienza.


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